Recensione di Lucia Malerba
DONOMA di Djinn Carrenard (FR, 2011, 133′)
Tra le fermate della metropolitana e gli appartamenti di una Parigi sfuocata ed evanescente, tre storie di altrettante coppie si sfiorano, si intrecciano e si disfano.
Sei personaggi in cerca di identità, potrebbe essere il sottotitolo. Una professoressa di spagnolo ha una storia sconclusionata e fugace con un suo studente, una giovane fotografa sceglie l’amore alla fermata del metrò, una ragazza cerca se stessa e la fede, mentre si prende cura della sorella malata di leucemia. Tutti cercano in realtà se stessi, una definizione e un proprio posto nel mondo.
Delicato e loquace Donoma, che in lungua sioux vuol dire “il giorno è qui”, si snoda tra queste storie con sinuosa elenganza e un po’ di distacco. La camera a mano, traballante e indagatrice, segue i protagonisti da vicino in uno stile visivo a tratti documentaristico ma dominato da colori tenui e sgranati che richiamano lo stilosissimo effetto lomo o il vintage della polaroid. Si vede che il giovane regista autodidatta (ci tiene a specificarlo) Djin Carrenard, parigino di origini haitiane, ha bene in mente i film di Jarmush e Cassavetes, pur rimanendo immerso in un’atmosfera tutta francese.
Così si presenta ai nostri occhi il film conosciuto in Francia e nel mondo per essere stato fatto con la spesa, irrisoria e ridicola, di soli 150 euro. Questo almeno è quanto hanno dichiarato la produzione, la Donoma Guerrilla, e il regista che, con ironia e una punta di soddisfazione, racconta di aver speso quei soldi per affittare uno smoking da usare in una scena che in sede di montaggio finale è stata pure tagliata. Touché: pochi soldi e pure inutili! Per il resto gli attori hanno lavorato senza retribuzione, l’attrezzatura è stata presa in prestito, gli appartamenti usati come location pure e così via. Insomma, il cinema a basso costo si può fare se si trova chi è disposto ad aiutare. La notizia è di quelle ghiotte e si è propagata in rete, facendo parlare, discutere e filosofeggiare.
Presentato al Festival di Cannes del 2010, nella Settimana della Critica, nel novembre 2011 Donoma viene distribuito nelle sale francesi, accompagnato da una lunga e tenace campagna che vede tutto il cast percorrere in lungo e in largo il paese a bordo di un pullman per diffondere il verbo virale: “Je veux voir Donoma” (voglio vedere Donoma).
Ma, c’è un ma. Essere conosciuti come “il film più a basso costo della storia del cinema” può anche essere un’arma a doppio taglio. Se da una parte la notizia in questione è come benzina buttata sul fuoco del passaparola, dall’altra induce non poche riflessioni.
Questa che vorrebbe essere un’evidente provocazione (si può fare cinema anche senza cifre esorbitanti e si può fare a meno degli squali-produttori: soprattutto in tempi di crisi questa è una buona notizia) ha un’eco ambigua, e i suoi confini si confondono facilmente con quelli dell’operazione di marketing. Di questi tempi la crisi tira, e il risparmio ancora di più. In effetti, cercando notizie sul film, l’attenzione risulta quasi interamente catalizzata dal dato economico mentre la cifra stilistica (cioè il film stesso, il risultato di tutta l’operazione) scivola in secondo, se non in terzo o quarto, piano. Bello fare il cinema con poco, ma esaurito l’effetto novità della succulenta notizia, cosa rimane? Ed è giusto basare tutto un lavoro su prestazioni lavorative volontarie? Galleggiando tra la provocazione e l’operazione di marketing, almeno per Donoma i dubbi rimangono.
Il film è ben fatto e accattivante ma le storie lasciano freddi. I personaggi galleggiano in una Prigi più Bobo (bougeois- bohème) che banlieu, il conflitto sociale di classe e di razza più volte evocato rimane vacuo e annacquato. Ma gli attori sono bravi, anzi bravissimi, espressivi e belli, trasmettono energia e vitalità. Si vede che in questo progetto ci credono e che probabilmente si sono divertiti a farlo. Anche Carrenard ha talento e si vede. Speriamo che questa avventura lo porti in futuro ad essere pagato e a poter pagare: sarebbe il segno del successo di un film che forse non verrà ricordato tanto di per sé ma quanto per l’immagine che di sé ha dato.