Quando nel 2002 la Piazza del Plebiscito di Napoli fu invasa dai teschi di Rebecca Horn, una parte della società napoletana fu scandalizzata dalla sacrilega trasformazione di uno dei luoghi simbolo della “rinascita bassoliniana”. L’artista confessò che quegli “spiriti di madreperla”- da cui il nome dell’istallazione – erano un omaggio alle “anime del purgatorio”, presenze immateriali invocate da coloro che sperano di alleviare il proprio futuro dalle sofferenze. Si racconta che la Horn fu incuriosita dalle “capuzzelle”, teschi ubicati nel Cimitero delle Fontanelle – luogo madre del culto dei morti dove le ossa delle anime senza nome sono religiosamente custodite come in una biblioteca. Tempo a dietro quei teschi erano presi in adozione e curati dagli abitanti del Quartiere Sanità sino a quando il miracolo non si fosse manifestato.
Napoli cammina quotidianamente a braccetto con la morte, con quel sentimento arcaico di perdita la cui origine affonda nell’impatto secolare tra la città e la violenza di certi eventi che ne hanno modellato l’antropologia urbana: dalle ripetute invasioni alle pesti che hanno falcidiato il numero dei suoi abitanti, dai bombardamenti militari della seconda guerra mondiale alle numerose vittime delle infinite guerre di Camorra, passando per gli sfoghi vulcanici che con i loro movimenti hanno lacerato il corpo di Partenope sedimentandolo di nuovi spazi tanto fisici come mentali.
Il film di Cioni penetra in quegli interstizi nascosti e ne rivela l’essenza. Diviso in 7 tappe, il viaggio del regista toscano sfiora i luoghi principali dove i morti della città prendono corpo: dal cimitero delle Fontanelle a quello di Poggioreale, dalla cripta della chiesa del Purgatorio ad Arco ai luoghi di passaggio, come la Piazza Garibaldi, dove si consumano incontri fortuiti di persone che, come anime del purgatorio, vagano nella città senza una meta precisa.
I protagonisti hanno un’ossessione comune: convertire l’oltretomba nel riflesso constante della condizione terrena. In questa dinamica di pensiero l’esistenza umana trova una spiegazione il cui punto d’appoggio è rappresentato dall’esercizio constante della memoria.
Si genera una relazione profonda tra visibile e invisibile, dove tutti i protagonisti del film, terreni e ultraterreni, occupano la stessa importanza confondendosi e interfacciandosi tra loro, come accade per esempio ad un ex detenuto che, attraverso i suoi racconti, si converte in un’anima penitente, o come il signore-filosofo che, nel criticare le nuove leggi municipali sui tempi delle tumefazioni, diventa il riflesso del saggio defunto, riferimento degli abitanti del quartiere.
Nell’erranza del film si vive un presente “eterno”, coagulo dei tempi morti di passato e futuro, la cui a-temporalità è condensata in immagini tipo super 8, dove la materia sgranata diventa pausa obbligata tra un racconto e l’altro, funzionando come narrazione silente e disvelatrice del senso nascosto di quei luoghi.
Cioni ci restituisce una Napoli al di fuori dei topos, dove l’attesa è una condizione comune tanto dei vivi come dei morti e dove risiede un “privilegio d’anagrafe” la cui forza è rappresentata dalla capacità dei suoi abitanti di vedere al di lá del disastro perenne in cui versa la città.
Così come accade nelle culture animiste afro-haitiane, i nostri protagonisti rimangono contemporanei ai propri tempi, generando un rito di camuffamento cosciente delle sofferenze del quotidiano attraverso qualcosa di cui solo pochi eletti sono in grado di vedere e condividere.
Alessandro Focareta
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