Testo e foto di Sara Fabbiani
Il treno delle 10.28 è in arrivo al binario 7 alla stazione di Bologna, carrozza piuttosto affollata, ragazzi soli che leggono il giornale, un bambino dai capelli rossi che parla un inglese dall’accento dolcissimo, una donna dai capelli grigi mangia un panino che stuzzica l’appetito, un signore sulla sessantina sale di fretta sul treno, prima che le porte si chiudano. Qualche telefonate a distanza, suoni di voci, il treno comincia a prendere velocità, si parte, qualche breve fermata, fischi, si riparte lentamente, direzione Ferrara – Festival di Internazionale, Mondovisioni, rassegna dei migliori documentari di tutto il mondo su informazioni, attualità, diritti umani, storie di vita. In veste di inviata speciale di Kinodromo, mi dirigo verso il cinema Boldini per vedere qualche documentario e raccogliere impressione generali sulla rassegna, informazioni sul festival, umori ed emozioni direttamente sul luogo.
Costeggio un gran viale che porta al Castello Estense, sono totalmente sprovvista di cartina e di un telefono tecnologicamente avanzato,chiedo indicazioni a una passante per il cinema Boldini, voglio esser certa della collocazione. Dopo pochi metri lo trovo, la signora aveva ragione, un’architettura strana, piuttosto fatiscente, fascista. Il primo documentario è alle 12, Marmato, film colombiano, anteprima italiana come la maggior parte dei documentari Mondovisioni. Marmato è un villaggio che sorge ai pendici di una montagna preziosa e ambita, infatti da alcuni anni si trova al centro della nuova corsa all’oro, grazie al suo giacimento da 20 miliardi di dollari.
La storia è incredibile, gli abitanti di Marmato sono tutti minatori, vedono questo lavoro come una tradizione, un elemento fondamentale per il loro sostentamento e per la loro identità. Estraggono l’oro con fatica e dedizione e lo raffinano in modo artigianale sena l’uso di tecnologie avanzate. Tutto questo è stato fatto per 500 anni, fino all’arrivo di una multinazionale canadese che si vuole impossessare di questi giacimenti ricchissimi con l’intenzione di arricchirsi e distruggere senza pietà le tradizioni, il lavoro, il territorio. L’uomo bianco è arrivato, non ha pietà, ha solo un unico scopo: il profitto.
Il regista Mark Grieco ha seguito da vicino la lotta dei minatori contro i dirigenti della multinazionale canadese per 6 anni, questa storia nascosta nel cuore dell’America Latina, si trasforma in una resistenza collettiva, contro chi vuole cancellare la memoria passata di un villaggio dalla quotidianità umile ma estremamente tenace, vitale.
Mark Grieco permette allo spettatore di vivere da vicino i sentimenti, le preoccupazioni e i voleri delle persone che vivono a Marmato e di entrare in empatia con gli abitanti, di stare dalla loro parte, di lottare insieme a loro. La storia di Marmato è una delle tante storie di resistenza, di lotta continua per la sopravvivenza dei propri voleri e della propria identità. La tenacia che queste persone possiedono va oltre al denaro e al potere, l’origine e il mantenimento delle tradizioni sono le basi su cui poggiano le idee degli abitanti di Marmato e sarà difficile persuaderli, convincerli ad abbandonare per sempre la loro terra, la loro montagna.
Le ultime immagini colpiscono come un pugno forte che preme sullo stomaco, poi nero, titoli di coda, grande applauso finale. Chi esce veloce, chi si ferma a parlare, chi fatica ad alzarsi.
Mi fermo all’uscita e poco dopo inizio a raccogliere pareri, informazioni sul documentario appena terminato, mi avvicino a due ragazze: “Veniamo tutti gli anni a Ferrara, i documentari sono sempre interessanti” una delle due si avvicina al microfono: “Non sapevo niente di questa storia ed ero dalla parte del protagonista, molto bravo”. Attendo pochi minuti e mi siedo vicino a una coppia di signori, sfogliano il programma, discutono su cosa vedere dopo la proiezione appena terminata, parliamo per qualche minuto e poco dopo scopro che sono di Bologna e conoscono Kinodromo, piccolo momento di estasi.
Sono entrambi molto colpiti dalla storia su Marmato: “Mi è piaciuto molto, questi documentari sono sempre fatti benissimo, la vicenda è interessante, una sorta di Val Susa in Colombia;[…] Vorremmo sapere cosa è successo dopo, la situazione sarà senz’altro peggiorata”. Proprio come ci suggeriscono,le ultime immagini ricordano molto da vicino le vicende della Val Susa, e a tutto ciò non riusciamo a dare risposte, possiamo formulare solo ipotesi, pensando che purtroppo la vicenda di Marmato non sia poi così distante da noi.
Alle 14 inizia la seconda proiezione, il documentario si intitola Documented ed è la storia di Josè Vargas trentenne di origine filippina, giornalista affermato e vincitore del premio Pulizter. Ha un solo grande, grandissimo segreto che non riesce più a nascondere: è un immigrato clandestino senza documenti. Tutto ciò lo disturba, non riesce a vivere come vorrebbe, è stanco di sfuggire alla legge e nel 2011 con un articolo sul New York Time Magazine, decide di dirlo al mondo, puntando il dito contro la terribile e assurda situazione che vivono 11 milioni di immigrati irregolari negli Stati Uniti. Vargas si autodenuncia, vivendo esperienze paradossali, a tratti comiche; racconta il suo passato, l’abbandono da parte della madre e l’accoglienza negli Stati Uniti da parte dei nonni, emigrati in California anni prima, poi il periodo dell’università e l’inizio della sua brillante carriera. Josè Vargas viaggia per gli Stati Uniti e racconta la sua storia in modo chiaro e sincero, senza tralasciare nulla: diventa la voce di 11 milioni di persone che vivono quotidianamente con questo segreto, con questo peso nella gola.
La storia è avvincente, Josè è un personaggio formidabile, incredibile, determinato, che sfodera l’arma migliore che ha: la parola e la usa benissimo attraverso il dialogo, la discussione fervente e la protesta pacifica. Vargas solleva un dibattito interessantissimo, pone domande sia al popolo che ai vertici della nazione,chiedendosi “che cosa vuol dire essere americani? Che cosa vuol dire avere un’identità? Qual’è il valore di sentirsi parte integrante di una comunità, di un paese grande come gli Stati Uniti?” Josè è il tipico esempio dell’american dreamer, partito da zero per poi arrivare fino in vetta, grazie alla sua determinazione, alle sue conoscenze, alle persone che lo hanno supportato, e che gli hanno dato forza per andare avanti.
Il regista è Josè stesso ed è una delle tante, tantissime persone che emigrano in cerca di un futuro migliore, crescono in un altro paese, con un’altra cultura e diventano persone di successo, estremamente brillanti che arricchiscono quotidianamente il paese che li ha accolti. Spesso si dimentica questo aspetto e si da più importanza a problemi di ordine pubblico, al terrorismo, alla paura. Il documentario tratta di un tema poco noto, come gran parte dei film della rassegna, in modo chiaro, deciso; Vargas diventa il portavoce di milioni di giovani negli Stati Uniti, giornalista determinato e prima di tutto un uomo, che non rinuncia alla propria dignità e alla propria identità.
Questa volta si esce dalla sala con un po’ più di speranza in corpo. La vicenda di Vargas sembra aver appassionato il pubblico in sala che accoglie il finale con un applauso caloroso.
Nel frattempo incontro Sergio Fant, responsabile di Mondovisioni per Internazionale, facciamo une bella chiacchierata sui documentari di quest’anno e sull’opportunità di mostrarli in varie parti d’Italia, “L’idea è che l’avventura non finisca qui, dato che questi documentari parlano di cause, questioni che ci riguardano tutti i giorni e non durante un solo week-end, in più l’idea di farli vedere anche a chi non può essere presente a Ferrara, suscitando curiosità, idee, confronti dibattiti durante l’anno”.
Kinodromo è una di quelle sale che l’anno scorso ha ospitato la rassegna di Mondovisioni e anche quest’anno vorremmo continuare questa ottima collaborazione.
Piccolo giro per il centro storico di Ferrara, incontri, concerti di fiati in piazza, palchi e ospiti internazionali, tanta gente e sopratutto mescolanza di generazioni, di nazioni. Ferrara rimane sempre una bella città e durante l’Internazionale ti sembra di essere in un’immensa casa dove ogni stanza ti racconta qualcosa, ti suscita emozioni e ti regala stimoli.
Mi dirigo verso la stazione, guardo il tabellone, il treno delle 17.11 è in ritardo di qualche minuto, grazie alla consueta abitudine ai ritardi, mi siedo in attesa di salire in carrozza. Le persone ai binari attendono con le valigie e il giornale sottobraccio, chi si fuma una sigaretta, chi ascolta la musica ad alto volume, chi telefona per ammazzare il tempo. Il treno alla fine arriva, ormai la gente non sbuffa nemmeno di più, ha trovato altri modi per sfuggire alla noia. Nonostante tutto a me il treno piace, mi soddisfa, mi da l’idea del viaggio, della scoperta, del vagare, anche solo per pochi chilometri. Salgo, è ora di ritornare verso Bologna con un altre storie da raccontare, con altri film da poter proporre e da attendere nelle sale. Inoltre grazie a questa breve esperienza giornaliera, ho scoperto che anche essere l’inviata speciale non è poi così male, anzi è davvero una bella sensazione.