PELO MALO di Mariana Rondón (Recensione di Alberto Berardi)

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Pelo Malo

“Gloria al popolo coraggioso

Che gettò il giogo

Rispettando la leggeLa virtù e l’onore

Via le catene! Via le catene!

Gridava il Signore, gridava il Signore […]”

Inno nazionale del Venezuela.

Libreta Pelo Malo.inddJunior ha nove anni e i capelli ricci e crespi. Vive con la madre Marta, vedova e lavoratrice precaria, e il fratellino alle periferie di Caracas. Mancano pochi giorni all’inizio della scuola e bisogna fare la foto dell’annuario scolastico. Junior vorrebbe essere ritratto con i capelli lisci come quelli dei cantanti pop, ma la madre non accetta il suo desiderio e gli si oppone con ogni mezzo.

Junior guarda Marta in un modo strano e lei non lo sopporta “Non guardarmi così, sai che non mi piace.”, sull’autobus lui inizia a canticchiare tra sé e lei si alza dal suo posto per sedersi una fila più in là, lasciandolo solo. Le reazioni sproporzionate di Marta sono causate da una paura che sarà nominata verso la fine della storia ma che nasce da un episodio precedente il tempo del racconto, e che non sarà mai mostrato o chiarito sullo schermo. Nessun flashback, solo qualche accenno; due dialoghi sfiorano l’accaduto, uno tra Marta e la nonna di Junior e uno tra lui e la sua amichetta: durante il Carnevale è successo qualcosa di brutto a Junior, mentre la madre era altrove a dar sfogo alla sua natura irrequieta. Marta ha anche perso il lavoro di vigilanza privata – ci sono delle indagini in corso, e anche qui non abbiamo bisogno di sapere come sono andate le cose esattamente – ha provato a riciclarsi come donna delle pulizie, ma non ha funzionato.

Madre e figlio rincorrono un’immagine di se stessi: Junior vuole apparire nella foto con il capello liscio e vestito come un cantante, mentre Marta vuole ritornare a indossare la divisa da vigilante. Immagini e ruoli incompatibili e panni che sono costumi. I trucchi sono da due soldi – che mancano comunque, nelle periferie di Caracas: il feticcio di Junior è una foto fatta con il cellulare su cui il “fotografo” appiccicherà malamente uno sfondo in Photoshop, mentre quello di Marta è uno stemma nuovo da vigilante comprato ai mercatini, nella speranza di riprendere realmente il posto di lavoro. Sotto e accanto a una certa ricerca d’identità di genere, Junior nella sua foto vorrebbe soprattutto piacere alla mamma; un desiderio di essere bello per lei che è anche l’essere bello come lei, che ha i capelli lisci, mentre lui li ha ricci come la nonna e il padre che non c’è più. Marta però riduce il volersi lisciare i capelli del figlio all’essere solo un pericoloso segno di omosessualità e qualsiasi altro gesto lui faccia in sua presenza è ricondotto a questo timore. Junior cerca in ogni modo di avvicinare la madre, pensa di sbagliare qualcosa ma non sa cosa, scruta continuamente Marta, in cerca di segni di affetto, ottenendo sempre l’effetto contrario. Il problema è che lo sguardo sempre spalancato di Junior è insostenibile, perché contiene qualcosa che supera il semplice voler essere riconosciuto dalla mamma o l’espressione del proprio amore: gli occhi di Junior sono affamati di bellezza e sono ingenuamente onnivori. Tormentata dal senso di colpa per il misterioso episodio del Carnevale, dall’idea di non essere una brava madre e schiacciata dalla sua precarietà, Marta non potrà né comprendere quello sguardo né accoglierlo. Per questo motivo ogni tentativo di avvicinamento di Junior alla madre sarà destinato a fallire.

Sullo schermo due diverse vedute dell’enorme palazzo di fronte fatte dal balcone di casa mostrano come l’incompatibilità degli sguardi si solidifichi alla fine in uno spazio fisico inconciliabile: dove Junior scrutando davanti a sé scopre un alveare colorato di umanità, in cui è possibile fare una caccia al tesoro con gli occhi, lo stesso edificio visto dalla madre è ridotto a un grigio blocco di cemento che imprigiona l’orizzonte. Mariana Rondón, regista venezuelana formatasi tra Parigi e Cuba, decide a questo punto che tocca alla realtà della storia – dopo averla lasciata filtrare appena dai pori dei notiziari alla radio e dalle scritte sui muri – di deporre il cinema. Così la realtà, o più precisamente il “come vanno le cose nella realtà della storia” irrompe brutalmente il primo giorno di scuola di Junior con una scelta obbligata. La realtà della storia decide cosa accade e accantona ogni possibilità di far accadere altro: può vincere solo lo sguardo del più forte. Messo alle corde quanto si vuole, al cinema comunque spetta, dopo l’inno nazionale Venezuelano, l’ultima canzone – a voi di deciderne il senso – perché, per nostra fortuna, fino a che ci saranno i titoli di coda in un film la realtà sulla pellicola finirà sempre un po’ prima della pellicola stessa.