Jodorowsky’s Dune, di Frank Pavich
Di Leonardo Mazza
È difficile immaginare come un film mai girato abbia potuto influenzare così tanto il cinema del suo tempo, e oltre.
Nel 1975 Jodorwsky aveva già girato El Topo e Montagna Sacra quando incontra il produttore cinematografico Michel Seydoux. Quest’ultimo s’era dichiarato disponibile a produrre qualsiasi film avesse in mente il regista e, quasi come una sfida, fu proposto un film tratto da Dune di Frank Herbert. L’intesa tra i due è immediata e si misero subito a lavoro e in men che non si dica si mise in moto la macchina organizzativa, come sede operativa fu scelta Parigi.
La difficoltà per il regista Franco-Cileno era riuscire a comunicare l’idea nuova di film che stava germogliando chiara nella sua mente: «dare al pubblico gli effetti dell’LSD, ma senza droga, per cambiare la percezione del pubblico». Immaginato il soggetto c’era bisogno di renderlo vivo e nessuno meglio di Jean Giraud (Moebius) avrebbe potuto farlo. Con la bozza di Storyboard pronta sarebbe stato più facile raccontare la visione. Fu subito chiaro che si trattava di qualcosa di nuovo, decisamente innovativo per allora, tanto da spingere Nicolas Winding Refn, il regista di Drive, molti anni dopo a fare una riflessione interessante:
«Se il primo film del genere fosse stato il Dune di Jodorowsky e non Star Wars forse tutto il sistema Blockbuster sarebbe stato diverso».
Affinché tutte le suggestioni del regista fossero reali e diventassero parte integrante del film c’era bisogno di più “guerrieri”. Era necessario continuare il reclutamento. Su questa strada incontrò tutto quello che di più bello e stimolante c’era in quegli anni: ad affiancare Moebius si aggiunsero Chris Foss e H. R. Giger, per le musiche furono scelti i Pink Floyd e i Magma e infine il cast. Per la parte di Paul, il protagonista, fu cooptato Brontis Jodorowsky; per il ruolo dell’Imperatore Shaddam IV, Salvator Dalì, e per Irulan sua figlia, la musa Amanda Lear; nel ruolo del Barone Harkonnen, l’antagonista, Orson Welles; fu immaginato anche lo spazio per delle special guest star come Mick Jagger, nel ruolo di Feyd, e Udo Kier, il giovane attore emergente sfornato dalla Factory di Wharol.
Tutto il lavoro fatto divenne un grosso librone che Jodorowsky e Seydoux portarono in giro per tutta Hollywood cercando una casa di produzione cinematografica che nel 1975 volesse finanziare un progetto innovativo da 15 milioni di dollari, ma dopo una entusiastica valutazione iniziale nessuno lo voleva finanziare, non c’era una casa di produzione cinematografica volle investire in un progetto che lo vedesse come regista. Il sogno s’infranse, la visione fece i conti con la realtà, inutile dire che ci rimase molto male, lui e i suoi guerrieri furono sconfitti prima di entrare in battaglia, dovettero rinunciare all’impresa, e ne subirono le conseguenze in termini di depressione.
Il voluminoso tomo che li accompagnava nell’impresa rimase però nelle stanze, nessuno lo finanziò ma tutti lo lessero; un po’ alla volta venne fuori, uscì dalle stanze per entrare nelle sale: sotto altre forme, con altri nomi, con altri volti, ma sono molti i film in cui si possono trovare citazioni e riferimenti a quel Dune.
Nel finale che Jodorowsky aveva immaginato Paul viene ucciso dal perfido Feyd, ma la sua morte non è una fine ma un mezzo per diventare in altro; tutti gli altri personaggi parleranno con la sua voce, a dimostrazione del fatto che la coscienza di quel profeta è propria di tutti gli abitanti di Arrakis.
In qualche modo è la stessa cosa che è successa a quel tomo: il suo martirio ha generato una diversa consapevolezza. Più spesso di quanto immaginiamo ci ritroviamo davanti a riferimenti a un film che non fu mai realizzato ma che forse abbiamo visto tutti.