Le interferenze urbane di Vantees raccontano la presenza nell’assenza

Le interferenze urbane di Vantees raccontano la presenza nell’assenza

Poster a grandezza naturale di schiene di estranei congelati in un momento di movimento e successivamente intonacati sulle pareti dello spazio pubblico: sono le opere del nativo brasiliano Stjepan Reder, meglio noto come Vantees. Ispirato dall’evoluzione continua dei muri della città e dal dialogo tra i residenti e il loro contesto urbano, Vantees – Paraná, 1989 – indaga la condizione umana in continua evoluzione. Lo street artist ha esposto le sue opere all’interno dei parametri illimitati degli spazi pubblici, in collaborazione con aziende locali e anche tra le mura di una galleria d’arte. Nel 2019 la galleria Portanova12, Bologna, ha presentato la sua prima mostra personale in Italia. Nel 2020 Vantees ha collaborato con Enel e l’Associazione Serendippo per il progetto ‘Disegnare dialoghi’, dove l’artista insieme ad altri undici artisti e designer, come Kiki Skipi, Marco Ronda (Bislak) e Allegria Bulgaria, hanno trasformato i muri spenti di varie cabine elettriche nelle zone periferiche della città di Bologna. L’artista gioca con le sue opere, non solo con la loro collocazione finale, che di per sé può durare poco, ma anche con le svariate figure ritratte nel suo progetto lambe-lambe.

Di recente ho parlato con Vantees di come si è imbattuto nel suo stile, della sua idea di fruizione degli spazi pubblici e delle correnti di ispirazione che attraversano i portici della città di Bologna.

Puoi descrivere come sei arrivato dalla fotografia alla street art?

Sono laureato in Comunicazione Sociale e mi sono sempre espresso attraverso la fotografia. Il rapporto con la grafica urbana è una costante nel mio repertorio, ed è stato anche l’oggetto della mia tesi di laurea. Ho coordinato per un anno il laboratorio di fotografia analogica di una facoltà, insegnando agli studenti del corso di Giornalismo e Arti Visive le tecniche per lo sviluppo e l’ingrandimento di negativi fotografici. Ho lavorato per quattro anni con riprese e montaggio di video di matrimoni. Realizzando i miei interventi in città, ho deciso di esagerare le proporzioni sperimentando con diverse tecniche miste di poster e stencil art. Creando e approfondendo la ricerca di produzione di immagini sono arrivato al risultato di portare le mie fotografie sulle strade attraverso la poster art.

Con quale stile di street art sei cresciuto? Quali artisti di strada hanno influenzato il tuo stile?

Sono nato in un paese di 10.000 abitanti nel nord del Paraná (stato brasiliano) e ho sempre vissuto in piccoli paesi dove la maggior parte delle fonti di reddito degli abitanti era la produzione rurale o le piccole imprese, lontano dal territorio industriale dove solitamente si trovano gli interventi d’arte urbani. Ho avuto il primo contatto con la street art a San Paolo durante una gita scolastica, quando avevo tredici anni. Sono sempre stato influenzato da piccoli interventi quotidiani come le scritte su alberi, panchine, muri, bagni, e dalle pubblicità fatte a mano dai mercanti.

Cosa ti ha spinto a iniziare il progetto lambe-lambe?

Analizzando alcune fotografie scattate durante un viaggio in Europa nel 2010, ho voluto trasportare queste fotografie in un nuovo formato. Combinando la tecnica pubblicitaria con gli interventi urbani, ho effettuato una prova della prima poster art che in Brasile chiamiamo “lambe-lambe”. Ho fatto il mio primo intervento come ospite a un festival cinematografico sulla tripla frontiera: ho incollato fotografie “Lambe-Lambe” sui muri delle tre città in cui si è svolto il festival, Puerto Iguazu (Argentina), Ciudad Del Este (Paraguay) e Foz do Iguaçu (Brasile) nel 2013. Da allora mi sono dedicato sempre di più allo sguardo sui “passanti”.

Lavori con diversi mezzi, dal video alla fotografia, fino alla stampa. Come descrivi la tua ricerca artistica e il tuo processo creativo?

È un processo quotidiano. La creazione inizia quando mi sveglio, perché è relazionata alla mia condotta nel vivere la città e nel convivere con gli individui che la abitano. È un lavoro di pazienza, osservazione e tecnica.

Il tuo lavoro mette in luce la banalità del quotidiano, dell’uomo qualunque e del nostro costante stato di movimento. Quali credi siano i temi principali del tuo lavoro?

Il lavoro nasce e cresce nell’osservazione, nella contemplazione. Il modo in cui ci rapportiamo uno verso gli altri, come osserviamo e reagiamo a modi di esistere diversi dal nostro. È con il corpo che stabiliamo la nostra prima forma di comunicazione. È l’inizio e la fine di ogni comunicazione. Il corpo è il linguaggio e, allo stesso tempo, produttore di innumerevoli linguaggi con cui l’essere umano si avvicina ad altri esseri umani, si lega con loro, coltiva il legame, mantiene relazioni e collaborazioni. Realizzare un taglio di questo corpo-manifesto che opera nelle strade e portarlo nello stesso ambiente in cui è stato immortalato fa sì che la presenza della sua immagine generi nuovi legami con lo spazio urbano, sia estetico che sociale. Aprono le porte a nuovi mondi percettivi, creano nuovi sguardi e allargano l’orizzonte. Lasciando le informazioni di una presenza, nella sua assenza. Credo che queste interferenze urbane ci invitino a fuggire dai nostri stessi corpi. “Le nostre figure di schiena sono la prova che abbiamo bisogno del prossimo per conoscere noi stessi, e soprattutto che forse non possiamo mai arrivare a sapere davvero chi siamo.”  (ViceVersa: Il mondo visto di spalle p.124 Marangoni, Eleonora)

Come descriveresti il tuo rapporto con lo spazio pubblico? Cosa ti colpisce del rapporto tra residente e spazio urbano da spingerti poi a scattare e a installare le tue opere sui muri della città? Che tipo di dialogo cerchi con l’osservatore?

L’arte “non autorizzata”, l’occupazione dello spazio pubblico è un potente strumento educativo, in cui non si fa distinzione su dove e a chi arriveranno queste informazioni. Essendo un territorio in continua trasformazione, si tratta di uno spazio di libertà. Deve essere consumato, esplorato e manifestato. È un ambiente in cui è necessario essere presenti per apportare eventuali modifiche. Essendo vuoto, genera un’assenza ed è questa assenza che genera una possibilità di spazio di appropriazione. La libera espressione nel contesto urbano aiuta a costruire il vero senso di spazio pubblico. Trasportare i veri passanti in veri spazi pubblici spinge, attraverso la pluralità di individui, a un processo di identificazione ed empatia.

Che rapporto hai con Bologna? Cosa ti ha dato dal punto di vista artistico? Chi sono gli street artist più forti sulla scena italiana secondo te?

Un rapporto di immigrazione, transitorio, simile ai passanti che attacco ai muri. Fino a poco fa non potevo restare qui più di 90 giorni. Intendo stabilire un rapporto più presente con la città. Mi sono trasferito qui per vivere con il mio compagno. È una città viva che ha una corrente di stimolo tra i portici. Questo per la sua storia, per la sua pluralità e per la sua forza di trasformazione. Vedo qui uno sguardo di attenzione sugli individui e sulle loro manifestazioni quotidiane. Mi vengono in mente quattro artisti che secondo me comunicano molto bene con gli spazi pubblici ponendo l’attenzione sulla figura umana: Br1, Stenlex, Never2501 e Nemos.

Come hai vissuto l’esperienza di esporre le tue opere al chiuso, all’interno di una cornice espositiva? Ti interesserebbe ripetere l’esperienza, cosa cambieresti?

Il mio lavoro ha un grande ibridismo. Si riferisce al trasporto di individui attraverso la documentazione fotografica e alla loro proliferazione di immagini in spazi diversi. Ogni volta che propongo di esporre qualcosa in ambienti privati, mi piace creare una correlazione esterna con l’ambiente proposto. Il lavoro esiste solo perché viene svolto nelle aree pubbliche delle città. Esporlo in una galleria o in un museo allarga la visuale di chi frequenta questi spazi, lo stimola a osservare i propri passi quotidiani con occhi diversi. È anche un modo per valorizzare economicamente il lavoro indipendente e portarlo a collezionisti e consumatori d’arte. Ogni proposta che accolgo è un’opportunità di suscitare il problema del rapporto tra pubblico e privato.

Hai collaborato al progetto “Disegnare dialoghi” lo scorso novembre, hai altre collaborazioni in programma per quest’anno?

La mia prossima collaborazione sarà per l’estate a Livorno con un collettivo di donne meravigliose!

 

Glesni Williams

 

Instagram di Vantees: @vantees