Ormai si sa, la redazione di Spinosa Magazine è appassionata di cinema indipendente e cerca di raccontare il più possibile tutto ciò che lo riguarda, dai film, agli autori, fino ai festival interamente ad esso dedicati. Ne sono un esempio le nostre segnalazioni di manifestazioni di questo genere, tra cui l’anno scorso il Lago Film Fest, che si svolge nel paesino lacustre di Revine Lago in provincia di Treviso ogni fine luglio ormai da 19 edizioni.
All’ultimo Bellaria Film Festival abbiamo conosciuto uno dei direttori artistici di questo festival, Alessandro Del Re, e lo abbiamo intervistato in occasione della conferenza stampa di presentazione della nuova edizione di Lago (21 – 29 luglio 2023). Abbiamo parlato non solo del festival, ma anche di come eventi cinematografici di questo genere possano essere un’opportunità di promozione culturale e sociale.
Prima di parlare del festival, ci racconti brevemente qualcosa di te? Come sei diventato programmer e poi co-direttore di Lago?
Prima ho lavorato per tanti anni per la casa di distribuzione indipendente Reading Bloom. Ho poi iniziato a fare il programmer proponendo un progetto nel 2018 a Carlo Migotto, che era ed è tuttora il direttore generale di Lago Film Fest. Abbiamo iniziato a collaborare insieme a Lago nel 2019 e poi sono entrato a far parte del team. Con la pandemia nel 2021 Carlo e Viviana Carlet (altra fondatrice e direttrice generale del festival ndr) hanno ceduto la direzione artistica a me, che all’epoca avevo 28 anni, e ad altre due persone.
In realtà io ho una formazione completamente diversa rispetto al cinema, dato che ho studiato filosofia. Il cinema è sempre stato una mia passione, non l’ho mai studiato, ma poi ho deciso di farlo diventare il mio lavoro, prima nel campo della distribuzione e ora dei festival, come codirettore di Lago e consulente per altre manifestazioni.

Il Lago Film Fest è descritto come “9 giorni di film, di registi del futuro e del presente, di contaminazioni artistiche, di incontri e proposte che pensano l’arte cinematografica come un territorio in continua evoluzione. Un’esperienza di festival unica nel suo genere, sospesa nel tempo, che non si può capire completamente se non vivendola di persona”. Ci racconti un po’ di Lago, com’è nato e dove siete arrivati?
Lago Film Fest nasce nel 2005 da un’idea di Viviana Carlet, che è originaria proprio di Revine, che ha realizzato una prima edizione del festival semplicemente portando uno schermo sulla spiaggia di Lago. Lo ha fatto per la cittadinanza, per la sua comunità. Piano piano il festival ha iniziato a crescere e, da quella prima edizione di tre giorni con film proiettati addirittura senza sottotitoli, anno dopo anno si è arrivati all’edizione molto grande del 2019, l’ultima pre pandemica. Poi arrivata la pandemia, come ti dicevo, c’è stato un cambio di direzione: nel 2021 Viviana e Carlo sono passati alla direzione generale, dunque ad occuparsi di aspetti più organizzativi, chiedendo a me, a Morena Faverin e a Mirta Gariboldi di assumere la direzione artistica. L’idea è stata quella di ripensare un po’ il festival con il mantra che il cinema doveva essere al centro, tornando a una dimensione di visione collettiva.
Così, rimanendo in continuità con la storia del festival, abbiamo provato a costruire un palinsesto che valorizzasse questo tipo di approccio e che considerasse anche il contesto site specific di Revine, con l’interno del borgo e le sponde del lago, dove il cinema normalmente non esiste. Abbiamo deciso di puntare tutto sulla scoperta di nuovi autori, valorizzando il cinema indipendente soprattutto indirizzato al futuro più che al passato.
Come hai detto, il festival ha anche un forte legame con il territorio, con la volontà di valorizzarlo e ravvivarlo culturalmente soprattutto per la comunità che lo vive quotidianamente.
Esatto. Considera infatti che il festival non è stato ideato in un’ottica di valorizzazione e di incentivo del turismo. Il nostro è più un approccio per la cittadinanza di Lago, aprendosi anche ovviamente a tutte le comunità che lo circondano e in generale a tutti coloro che vogliono venire al festival, agli appassionati di cinema.
Lago infatti è un evento molto partecipato non solo dal punto di vista del pubblico, ma anche da parte di volontari e persone che ci danno una mano. Una fetta consistente della comunità del paese, infatti, contribuisce volontariamente al festival in vari modi, in un lavoro di sinergia con gli organizzatori. Il festival non è ospitato da Lago, è pienamente partecipato da Lago. In questo modo anche chi arriva da fuori non si sente un corpo estraneo rispetto al paese, ma perfettamente integrato a quello che è il contesto urbano.
Nello specifico puoi raccontarci qualcosa della selezione di quest’anno?
Il programma di quest’anno si compone di ben 200 film – 10 lungometraggi e 190 corti – spalmati su 9 giorni. Un programma gigantesco che si divide tra Concorso e Fuori Concorso. Il Concorso si suddivide in nove differenti competizioni, di cui tre interamente dedicate ai più giovani (bambini, adolescenti e giovani adulti). La sezione Fuori Concorso si divide invece in due sezioni, “Focus” e “Fireworks”.
“Focus” presenta film focalizzati su temi molto particolari e si suddivide in ulteriori sottosezioni come “FANTASCIENZA CINESE!” e “Frontiers”, dedicata alle contaminazioni tra cinema e arti contemporanee, incentrata su artisti che lavorano in altri ambiti ma che in realtà innestano il cinema di nuova linfa. Nello specifico quest’anno “Frontiers” è dedicata a Forensic Architecture, uno studio di architettura di Londra specializzato in video investigazioni di architettura forense, ovvero studi spaziali che indagano le violazioni dei diritti umani attraverso modelli architettonici che utilizzano la tecnologia digitale e il found footage: un mondo secondo noi molto interessante che si sta aprendo a livello documentaristico, perché pone nuove sfide alla percezione e anche al contesto di verità all’interno di un ambiente filmico.
“Fireworks” invece ospita tre omaggi a Cyril Schäublin, regista svizzero autore del recente Unrest (disponibile su MUBI ndr), Eduardo Williams, regista sperimentale argentino molto interessante, e Helena Wittmann, regista e fotografa, autrice di Human Flowers of Flesh, proiettato in Italia all’ultimo Bellaria Film Festival dopo l’anteprima a Locarno la scorsa estate.

Evento centrale del festival è poi la prima retrospettiva italiana al cinema dedicata al regista filippino Lav Diaz, il cui film The Woman Who Left, vincitore del Leone d’oro a Venezia nel 2016, non fu mai distribuito nelle sale italiane.
Sì, e ci tengo proprio a sottolineare che è la prima retrospettiva italiana fatta al cinema. Infatti il programma televisivo Fuori Orario (ideato da Enrico Ghezzi per la Rai allo scopo di mostrare al pubblico cinematografie straniere interessanti e commercialmente meno note ndr) qualche anno fa aveva già dedicato un omaggio a Lav Diaz, ma solo per la televisione appunto.
La nostra idea era quella di portarlo proprio al cinema e lo faremo andando ad aprire una vera sala a Lago. In un qualsiasi altro festival una retrospettiva su Lav Diaz sarebbe impossibile, perché occuperebbe una sala per l’intera durata della manifestazione, data la lunghezza delle sue opere. A Lago però non esisteva un cinema e dunque questo problema non si poneva, anzi è stata un’opportunità: abbiamo così deciso di prendere uno spazio in disuso già esistente in paese e di trasformarlo in una sala cinematografica adibita solo per questo scopo. Sarà però un cinema site specific, effimero, che sarà utilizzato come tale solo durante il festival. Per sei giorni dal pomeriggio fino all’alba verranno proiettati tutti i film del cineasta filippino, che sarà anche fisicamente presente a Lago.
Parlando proprio della diffusione dei film indipendenti al cinema, cosa pensi della distribuzione oggi e del fatto che ormai per questo tipo di cinema i festival si stiano sostituendo a quella tradizionale?
In effetti ormai i festival sono diventati tra i pochi posti dove vedere un certo tipo di cinema. In realtà le sale tradizionali ancora resistono, ma i modelli distributivi stanno cambiando velocemente e in poco tempo, e secondo me c’è un fattore fondamentale da considerare: se da una parte gli esercenti cinematografici italiani dicono di aver dimezzato le proprie entrate rispetto al 2019, in realtà i dati dimostrano che gli introiti o sono tornati allo stesso livello pre pandemia o addirittura sono cresciuti. Questo dimostra che non è diminuita la voglia di vedere i film al cinema.
Ciò che dunque cambia è la fruizione, che non è più episodica e abitudinaria, ma è più legata al concetto di evento, come la proiezione presentata dal regista. Si è arrivati a questa condizione per cui non c’è più una spinta a vedere un film in sala se poi questo uscirà su una piattaforma di streaming due mesi dopo. In generale lo spettatore amante del cinema preferisce vedere questo film all’interno di un contesto esperienziale di “evento”: ed ecco che qui i festival acquisiscono un ruolo centrale.
In generale c’è una grande offerta a livello produttivo ma una bassissima richiesta a livello distributivo: da qui occorre partire per potersi riassestare. Per esempio noi di Lago non blocchiamo mai le anteprime italiane. Se un film è già stato presentato in altri festival in Italia ma ci interessa, non abbiamo alcun problema a proiettarlo, anzi. Questo secondo la logica per cui più un film riesce a circuitare meglio è.
Si può dunque parlare di una aspirazione a una distribuzione in un’ottica di inclusività. Una inclusività che si riflette anche nella vostra offerta di abbonamento al festival.
Infatti quest’anno abbiamo fatto una scelta molto in controtendenza, decidendo di vendere l’abbonamento al festival per tutti gli eventi di tutti e nove i giorni a soli 16 euro. Abbiamo deciso un prezzo così basso proprio per fare in modo che partecipare al nostro festival potesse essere alla portata di tutti. E inoltre i minori di 18 anni e i residenti di Lago non pagano. In più se dovesse piovere forniremo a tutti gli abbonati il link per poter vedere i film in streaming da casa.
Tutto questo è un modo per incentivare ulteriormente le persone a venire al festival, non solo per guardare film ma anche per passare del tempo in condivisione all’interno della comunità che si viene a creare in quei giorni, in un’ottica di promozione culturale e sociale.
Zoe Ambra Innocenti