Il mostruoso femminile alla prova del cinema mainstream: Bella Baxter tra desiderio anormale e normato

Il mostruoso femminile alla prova del cinema mainstream: Bella Baxter tra desiderio anormale e normato

di Fra Picarelli Perrotta, D. Chiodi

Da personaggi come quelli di La regina degli scacchi (serie cult distribuita da Netflix e ispirata al romanzo di Walter Tevis), Priscilla di Sofia Coppola (basato sulla storia vera di Priscilla Presley), Barbie di Greta Gerwig (sì, proprio le bambole della Mattel), fino ad arrivare a Bella Baxter, protagonista di Poor Things di Y. Lanthimos (tratto dal romanzo di Alasdair Gray), la rappresentazione del femminile nel cinema “mainstream” sembra trovarsi di fronte a un apparente stravolgimento, nel tentativo, commercialmente redditizio, di andare in controtendenza alla narrazione fatta finora. Da una parte abbiamo un personaggio come Beth, la “regina degli scacchi”, classico racconto del genio che in cinematografia è sempre stato riservato alle figure maschili, oppure Priscilla che, oscurata dalla presenza ingombrante di suo marito, il “re del rock and roll” Elvis Presley, diviene la protagonista del film di Coppola, mettendo in luce le ombre e le contraddizioni degli Stati Uniti di quegli anni. Dall’altra abbiamo un personaggio come Barbie, simbolo di bellezza per decine di generazioni, che nel film di Greta Gerwig acquista tridimensionalità, carattere e si fa paladina di un femminismo di facciata. 

Personaggi che a una prima visione sembrano farsi carico di concetti come libertà e desiderio, diventano veri e propri manifesti femministi della narrazione mainstream. Ma è davvero così? Bella Baxter è davvero un personaggio libero? 

Il sublime.

Era il 1816, l’anno senza estate, Mary Shelley si trovava con la sorella nella residenza di Villa Diodati, a Ginevra. Le aberrazioni climatiche costrinsero lei e lx altrx residentx della casa a stimolare la loro creatività scrivendo storie dell’orrore. Shelley non ebbe subito l’ispirazione; l’idea del mostro le venne una notte, subito dopo un incubo. Sognò un giovane studente di medicina prostrato di fronte alla creatura assemblata da lui stesso, in timorosa reverenza: nacque Frankenstein o il Moderno Prometeo, pubblicato in forma anonima quello stesso anno. Il galvanismo – la possibilità di donare di nuovo vita a tessuti morti attraverso una stimolazione elettrica – era uno dei temi scottanti del dibattito filosofico e scientifico del tempo, tuttavia l’opera venne accolta negativamente dai critici, uomini, che lamentavano l’assenza di una morale: si scomodavano solo i sentimenti, senza stimolare abbastanza la mente. Nonostante ciò furono sedotti dal mistero autoriale e iniziarono a elaborare congetture su chi potesse essere l’autore del libro. Partendo dalla dedica al filosofo William Godwin, i critici si convinsero che lo scrittore del testo dovesse essere il genero di Godwin, Percy Bysshe Shelley; a nessuno di loro balenò mai in testa l’idea che l’autrice potesse essere la figlia di Godwin: Mary Wollstonecraft Godwin, ovvero Mary Shelley.

L’insolito.

È il 1992, lo scrittore scozzese Alasdair Gray pubblica il romanzo Povere Creature!. Il testo viene immediatamente accostato al Frankenstein di Mary Shelley. Nonostante il mostro di Gray sia riportato in vita attraverso procedimenti medici poco ortodossi proprio come quello di Shelley, da lì in poi il romanzo si muove in modo totalmente nuovo. Non solo perché Frankenstein è una storia profondamente tragica dall’inizio alla fine, mentre Povere Creature! si muove attraverso l’ironia e la satira. Ma anche perché, attraverso l’uso di procedimenti postmoderni, Gray si pone l’intenso compito di far colare il romanzo nel reale, di ampliarne i confini rendendolo potenzialmente infinito, e allo stesso tempo di creare indiscernibilità tra vero e falso, tra realtà e fantasia, tra opera e autore. Il libro infatti è presentato come un manoscritto pubblicato nel 1909 da Archibald McCandless, ritrovato dallo storico locale Michael Donnelly settant’anni dopo, e si chiude con una lettera della moglie di McCandless, Victoria, ovvero Bella Baxter nella versione di lui,  scritta dopo aver letto il manoscritto del marito. L’autore del romanzo, Alasdair Gray, si sdoppia per divenire un personaggio del racconto, nello specifico il curatore del manoscritto ritrovato. Nell’introduzione al testo, Gray afferma di avere un’opinione molto diversa da Donnelly circa il manoscritto: se per lo storico ci troviamo indubbiamente di fronte a un romanzo di fantasia ricco di umorismo macabro, per Gray (contemporaneamente scrittore e curatore di se stesso/Archibald McCandless) non c’è dubbio che i fatti raccontati siano veri. L’autore crea così un pastiche vittoriano degno di questo nome scimmiottando situazioni e personaggi, e lo fa producendo una molteplicità di cornici narrative che rendono ogni voce narrante totalmente inaffidabile. Capiamo presto però che l’emulazione della letteratura Vittoriana attraverso l’inserto storico, la forma epistolare, i disegni stessi fatti dall’autore, è solo un pretesto, la tappa iniziale che permette di arrivare a un procedimento e a un metodo, entrambi di valore rivoluzionario: indistinguibilità tra mezzi e fine. Se in Frankenstein il lettore scappa terrorizzato dal mostro, in Povere Creature! si siede con Bella Baxter a prendere il thé.

Il personaggio è stato spesso collegato al quindicesimo capitolo dell’Ulisse di Joyce, Circe: a questo punto del romanzo il protagonista Bloom si ritrova nel bordello di Bella Cohen. Oltre all’omonimia, l’unica cosa che sembrerebbe accomunare le due donne è la loro potenza sessuale, nonostante venga usata in modi differenti. Se in Joyce Bella plasma il suo corpo e il suo desiderio in favore dei suoi clienti e delle loro volontà, Bella di Gray ha un rapporto col suo desiderio molto più infantile in termini psicoanalitici. Proprio come i bambini, è perversa e polimorfa: persegue il suo piacere senza vincoli di alcun tipo, travalicando anche i confini dei genitali nella ricerca del piacere e delle sue zone erogene.

Un’altra figura in cui può essere intravisto un ulteriore precedente letterario è quella di Dolores Haze, la Lolita di Vladimir Nabokov. Lolita è la ninfetta per definizione, sensuale all’esterno, ingenua e pura come i bambini all’interno, connotata, almeno all’inizio del romanzo, da una libertà da cui il mondo adulto rifugge e al tempo stesso viene sedotto. La libertà di Dolores risiede nella sua infanzia: se infatti viene scontato pensare che Humbert sia attratto da lei per la sua sensualità, appare molto meno evidente il fatto che il cuore della seduzione in verità risieda in qualcosa di più profondo, qualcosa che Humbert e il resto del mondo adulto hanno perso, e che non riusciranno mai più a ottenere, un vuoto nell’altro che invece di riflettere assorbe. Humbert vuole la sua innocenza. Nonostante Dolores non abbia alcuna scelta né voce, nonostante perda il suo vero nome in Lolita, rimane libera nella sua fanciullezza, non ancora entrata nella gabbia degli adulti. Allo stesso modo Bella Baxter, nonostante il corpo maturo e già segnato dalle cicatrici del tempo, non è contaminata dalle costrizioni degli adulti, poiché il suo cervello è quello del suo stesso feto, impiantatole nel cranio da Godwin. È questa combinazione che le permette di vivere il suo desiderio senza colpe o dogmi sociali e culturali, una ratio infantile in un corpo adulto di cui permane la memoria. La crescita neurologica di Bella avviene in tempi rapidissimi, senza subire la repressione del desiderio che la società impone: Bella continua a perseguire la sua soddisfazione senza nessun tipo di filtro morale o sociale, senza nemmeno domandarsi se le sue azioni provocano dolore all’altro. Almeno fino a un certo punto della storia, ovvero quando viene a contatto col mondo esterno. 

Il mostruoso.

La libertà del desiderio di Bella attira attorno a sé una costellazione di uomini che desiderano possederla nei modi più disparati. C’è Godwin, che la crea per essere amato incondizionatamente da una donna amorevole, senza far caso alla sua riluttanza, proprio come farebbe una madre. Sarà lo stesso Godwin a dichiarare nel corso del romanzo di essere in cerca di una figura femminile che ricalchi il fantasma della madre morta, ritrovandosi poi ad assumere lui stesso tali connotati per Bella, accudendola e amandola teneramente. Oltre alla funzione materna, Godwin resta un personaggio di genere maschile che incarna di conseguenza anche la funzione paterna, secondo la teoria edipica dovrebbe quindi esserci da parte di Bella un sentimento di attrazione e allo stesso tempo di gelosia nei suoi confronti, eppure lei non svilupperà mai istinti sessuali verso di lui, nessun sogno incestuoso, nessuna frustrazione data dalla mancanza del fallo, nessuna volontà di appropriarsi del suo. Tutta la teoria dell’Edipo si struttura attorno a un centro che è il fallo. È la condizione della sua presenza o assenza a determinare una serie di dinamiche relazionali e di rapporti di potere che si creano tra di esse, dove la madre, il padre, e il figlio o la figlia, sono i termini fissi delle relazioni. In tutto ciò il fallo è però un simbolo. Legato inestricabilmente al maschile, dato che lo possiede, rappresenta in realtà il potere. Chi lo detiene e chi no. Storicamente il potere è sempre stato detenuto dal genere maschile su tutti gli altri, complice anche la teoria psicoanalitica. Quello che però qui ci preme sottolineare è che l’Edipo fu una teoria che tentava di riflettere una determinata disposizione culturale e che divenne poi una teoria globalizzante e resa così indiscussa da divenire aprioristica. Così tanto che si scordò che anch’essa, com’era stata costruita, poteva essere facilmente disfatta. Ed è proprio Bella Baxter a disfarla completamente. La sua rapida crescita avviene lontano dalla cultura e dalla società, lontano dal mondo esterno, lontano da una famiglia classica e quindi lontano dai dogmi edipici. Nessuna triangolazione edipica viene operata nell’inconscio di Bella semplicemente perché non c’è stato tempo e modo di farlo. Le condizioni sociali e familiari che lo avrebbero permesso sono venute meno, il suo desiderio non è stato ancora totalmente significato. 

Ci sono poi tutti gli altri uomini che le gravitano attorno e che non accettano minimamente che Bella detenga potere su di loro (qualsiasi tipo di potere, dal potere sessuale, lavorativo, a quello di parola), perché gli è stato insegnato che esso è di loro esclusiva proprietà. In questa incapacità di accogliere un femminile potente, si sviluppa così la sindrome edipica di tutti i personaggi maschili. C’è Archibald McCandless, il narratore della storia, che di Bella si approprierà più di tutti visto che sarà lui a scrivere della sua vita. C’è Duncan Wedderburn, il malvagio avvocato che rapisce Bella (o viene rapito?) e la porta con sé in quella che lui definirà una luna di miele. Wedderburn nel romanzo ammette di ricercare sempre donne appartenenti a classi più basse della sua, contravvenendo alle regole vittoriane e per questo venendo visto come malvagio, diabolico e senza scrupoli. C’è infine il generale Aubrey, primo marito di Bella (al tempo Victoria), dal quale scopriamo che la tendenza erotomane di Bella era presente già prima della sua resurrezione. Anche lui, come Wedderburn, rimarrà totalmente annichilito dal desiderio di Bella e preferirà unirsi a donne di rango più basso, domestiche per lo più, piuttosto che soddisfare il suo desiderio.

La questione di classe fa quindi da contrappasso: la scelta di Wedderburn e dell’ex marito di Bella di intessere relazioni sessuali con donne di rango più basso, in una società dove ciò non era permesso, è una scelta di classe che rimarca la loro necessità di essere al potere su tutti i fronti. Bella invece, rimarrà incontaminata dalla febbre edipica, almeno fino alla creazione della sua coscienza morale, un processo che si sviluppa in tre momenti fondamentali del libro: nel primo è costretta a prendersi cura di Wedderburn durante il loro viaggio (la madre); nel secondo viene a contatto con la sofferenza del mondo, e quindi con la questione di classe che ne struttura i meccanismi (il figlio); nel terzo torna a casa da Godwin e accetta la sua opinione a riguardo, e cioè che l’unico modo per diminuire la sofferenza e le ingiustizie nel mondo è studiare medicina e divenire dottore come lui (il padre). È esattamente in questi tre passaggi che il mostruoso di Bella si sgretola e perde tutta la sua portata rivoluzionaria, rinchiudendosi nelle limitazioni borghesi. Così come nel libro, anche nel riadattamento cinematografico di Yorgos Lanthimos Bella Baxter è attraversata e attraversa varie gabbie morali, tra desiderio anormale e normato.  

Prima gabbia: Il padre

Nonostante sia una creatura indefinita, Bella viene immediatamente socializzata come donna, bramata possessivamente come oggetto dallo sguardo maschile del “padre”, Godwin. “God”, è un “mostro”, un uomo sfigurato in volto e nel corpo dai taglia e cuci del padre, anch’egli chirurgo; nonostante questo trauma infantile, segue le orme paterne ed è mosso dal desiderio di conoscenza scientifica. Infatti, in quanto osservatore empirico, cerca di controllare costantemente i progressi del suo esperimento, ovvero Bella. Il suo controllo è espresso attraverso la costante minaccia del “fuori”. 

«I have created a perfectly entertaining and safe world for Bella. You know, so many things outside can kill you.»

Non potendola desiderare sessualmente perché un qualsiasi rapporto fisico lo ucciderebbe, l’amore di Godwin nei confronti della pseudo figlia Bella è paterno e addomesticato: un amore prigioniero. Nel sentirsi per la prima volta amato e riconosciuto, Godwin smette di tracciare sistematicamente e ossessivamente i progressi di Bella, passando così da una curiosità scientifica a una relazione affettiva con la protagonista, collocata al crocevia tra esperimento, figlia e amante.  Accanto alla campana di vetro che la isola fisicamente dall’esterno, il padre ha costruito un’altra gabbia, impalpabile eppure opprimente allo stesso modo: il ricatto emotivo, che Bella assorbe, rielabora e vomita. Ed è proprio così che Bella riesce a liberarsi e sgattaiolare nella seconda gabbia.  

Seconda gabbia: polite society

L’evoluzione motoria e intellettuale di Bella si scontra inevitabilmente con i limiti sociali che la borghesia ha posto in essere per mantenere quello che il patriarcato considera l’ordine naturale delle cose. Così il senso della vergogna e della colpa, che questo tipo di società mette in stretta correlazione con il piacere sessuale femminile fine a se stesso, si scontrano con l’approccio spontaneo di Bella al suo stesso desiderio. 

 «In polite society. That is not done.» 

Così viene apostrofata da Max McCandless, l’assistente di God, quando viene sorpresa a masturbarsi. Bella non risponde al buon costume. Partita per Lisbona insieme a Wedderburn, la pulsione di scoprire e ricercare il suo stesso piacere esplode in maniera visibile: il casto (e castigato) bianco e nero di casa Baxter lascia il posto ai colori libertini dell’Europa Belle Époque. Sesso, ostriche, alcool, musica e “tart”, tutto è esperito e consumato senza malizia né morale, istintivamente: ma è proprio l’istinto – nel suo trascendere la società di cui un inetto come Wedderburn è perfetto esponente – che va domato, in quanto minaccia di rilevare la finzione dell’ordine sociale costituito. Bella, dentro questa arena che non fa che badare “ai modi”, è antagonista; tuttavia, è il pensiero borghese a essere in conflitto con lei – vergognandosi e imbarazzandosi per l’inappropriatezza di Bella e allo stesso tempo desiderandone la carica vitale e liberante – non il contrario. 

Terza gabbia: lavoro e piacere

«Harry: But this improvement through philosophy…is people trying to run away from the fact we are all cruel beasts. BORN THAT WAY, DIE THAT WAY.»

A contatto con la sofferenza del pianeta, Bella diviene consapevole della sua istintuale crudeltà e vuole migliorarsi. Secondo lei, per cambiare il mondo, bisogna conoscerlo; così si fa convincere dalla proprietaria di un lupanare a sopportare il dolore e la tristezza: solo attraverso l’esperienza si può comprendere la società e di conseguenza controllarla e migliorarla  – sempiterna retorica della sofferenza come educativa e formativa. Dopo vari tentativi, non potendo realmente scegliere come vivere la propria sessualità, arriva a un punto di completo annichilimento: finisce così per avvicinarsi sempre di più a una passione introiettata dal padre, la chirurgia, facendo collassare la sua sessualità libera e istintiva nel tema borghese del piacere nel lavoro.

Inizialmente Poor Things sembra dare respiro allo stato di natura di Hobbes o alle tesi de Il disagio della civiltà di Freud. Bella, al suo risveglio, è caratterizzata da un istinto erotico ambivalente: da una parte segue le proprie legittime pulsioni vitali e sessuali, dall’altra esse si dispiegano in gesti e azioni violente che perpetra verso l’Altro mancando completamente di empatia. Secondo Freud, in un mondo dove prevale la scarsità, siamo costrettx a reprimere l’eros, sacrificando un po’ di felicità in favore della sicurezza e del progresso. Eppure in questo “progresso” pare che nessunx sia felice; il lavoro diviene allora un palliativo, una felicità di secondo grado, proprio come accade a Bella con la chirurgia. Ma in un reale in cui sappiamo bene che la scarsità non esiste più, anche il piacere nel lavoro è un inganno: un dispositivo neoliberista che ci porta a produrre senza progresso, senza neanche più chiederci cosa produciamo e perché. Nel finale del film Bella sceglie di ricalcare le orme del padre, dando però un impianto etico e uno scopo anche alla scoperta scientifica, a differenza di Godwin, teso verso la scoperta fine a se stessa, slegata dalla dimensione umana e dalle necessità esterne. Bella Baxter viene dipinta come trionfale nel ricoprire il ruolo professionale paterno, spazzando via l’autoreferenzialità della conoscenza, in nome della pragmaticità. Ma di che tipo di trionfo si tratta? Un trionfo neoliberale: Bella sente infatti il bisogno di un costante miglioramento attraverso una prestazione infallibile, perfettamente in linea col capitalismo, secondo cui l’errore, e il conseguente fallimento, sono visti come indice di scarsa applicazione, e quindi moralmente esecrabili.

Herbert Marcuse in Eros e Civiltà (pubblicato la prima volta nel 1955) parla della dimensione estetica come un non spazio dove praticare il grande rifiuto. Il grande rifiuto è un atto rivoluzionario, una pratica di sovversione del principio di realtà a cui siamo assoggettati, un realismo antropocentrico, capitalista e borghese. Ed è proprio la dimensione estetica che può liberarci o perlomeno può aiutarci a trovare una via di fuga, là dove lx nostrx antenatx non sono riuscitx. Bisogna abdicare alle figure ispirate a Prometeo – l’uomo che rubò il fuoco agli Dei per darlo agli uomini e simbolo non solo dell’avanzamento tecnologico positivista ma anche della supremazia dell’uomo e della sua categorizzazione binaria  sulla natura – in favore di modelli come Narciso e Orfeo : il primo simbolo del bello fine a se stesso, senza che debba necessariamente essere indirizzato verso uno scopo funzionale; il secondo rappresenta la forza dell’arte, capace di indagare l’animo umano e comprenderlo per ciò che è, senza giudizi o pregiudizi. Sono queste le Povere creature del grande rifiuto, da riconnettere con quella parte di noi che ogni giorno dobbiamo reimparare a praticare. La Bella Baxter del principio ci interessa proprio perché rifiuta Prometeo. Tuttavia, il carattere erotico e ironico della prima Bella viene associato erroneamente a una dimensione puramente infantile, come suggerito dall’incipit: il trapianto di cervello del bimbo che Bella portava in grembo al posto del proprio. Inizialmente sembra di assistere al processo che accompagna Bella dall’infanzia all’età adulta; ma è Godwin stesso a dirci che Bella non è unx bambinx. La società in cui Bella vive associa l’infanzia all’irresponsabilità ed essere adultx significa perdere il gioco, l’istintualità, il desiderio e qualunque atto creativo viene divorato o percepito come delirio esistenziale. Diviene fondamentale invece rivendicare il nostro diritto al gioco e alla creatività, senza che venga necessariamente normalizzato entro gli schemi sociali borghesi dell’utilità e della funzionalità. Quando Bella decide di trapiantare il cervello di una capra nel corpo di Alfie Blessington, generale violento, la giocosità è accompagnata dalla ricchezza d’ingegno della professione medica; il gioco non è già più puro divertimento ed espressione assoluta del sé ma viene contaminato dallo scopo etico-morale: che voglia punirlo in quanto sadico e tirannico o che si tratti di un’ironica vendetta per la sua proposta di mutilarla a livello genitale, le modalità ludiche sono ormai irrimediabilmente compromesse. Ed è per questo che, andando al cuore delle cose, la Bella del finale non è poi così libera.

Poor things poi, con vari rimandi al socialismo, riporta al centro del dibattito il lavoro. Ed è evidente che oltre a riappropriarci del gioco dovremmo anche liberarci dal lavoro e dalle sue catene. Forse è per questo che l’ultimo esperimento di Godwin, Felicity, nel momento in cui Mrs. Primm le comanda di andare a prendere da bere, fa cadere la palla con cui stava giocando (azione marcata da un ralenti) e si mette a servizio della badante, permettendole così di riposare. Felicity, ovvero il frutto dell’esperimento scientifico, la macchina scoperta in seno all’industrializzazione tardo ottocentesca, automa e non soggetto senziente, si fa simbolo di un positivismo accelerazionista, una tecnologia capace di ridurre – e chissà, far scomparire? – il lavoro in fabbrica, rappresentato da Mrs. Pimm.

Il manoscritto di McCandless mostra un lieto fine classico: c’è un matrimonio, dei figli, un lavoro utile alla società e una vita insieme; Bella diventa medico, apre una clinica prenatale, insegna segretamente alle donne i metodi contraccettivi e pratica aborti su richiesta, diviene attivista suffragista e sarà sempre una socialista convinta.

Nella sua lettera, vero epilogo del romanzo, Victoria dichiarerà che tutto ciò di cui ha scritto il marito è opera d’invenzione; egli ha voluto scrivere tutte quelle menzogne sulla sua vita perché geloso del suo successo professionale e della sua noncuranza nei suoi confronti. E racconterà la storia per come è veramente andata. Ma è vera? Cos’è davvero attendibile in un romanzo postmoderno in cui realtà e finzione non fanno altro che rincorrersi e contraddirsi costantemente? Analizzando accuratamente le parole di Victoria si possono notare dei particolari che la tradiscono nelle sue stesse asserzioni. Di fatto la storia riportata da Victoria, e spacciata come veritiera a differenza di quella del marito, si conclude con la morte di Godwin, avvenuta ancor prima del matrimonio tra lei e McCandless. Il manoscritto invece riporta il momento delle nozze, in cui Godwin è presente – e quindi ancora in vita – durante il quale il generale Blessington, ex marito di Victoria, si oppone allo sposalizio, rivendicando la donna come sua proprietà; per riaverla il generale arriverà a puntare la pistola sui presenti, fino addirittura a spararle al piede ferendola. Tutto questo, nella lettera finale di Victoria, non è descritto. Eppure a un certo punto lei affermerà:

“[…] ciò che lo (Archibald McCandless) divertiva maggiormente era il modo intelligente con cui la sua finzione battesse in astuzia la verità. O così credo. Ma perché non l’ha resa più convincente? Nel capitolo 22, descrivendo come il mio primo marito mi sparò a un piede, dice: «Fortunatamente la pallottola aveva attraversato il piede in maniera pulita conficcandosi nel tappeto DOPO AVER PERFORATO IL TEGUMENTO FRA L’ULNA E IL RADIO DEL SECONDO E TERZO METACARPALE senza scheggiare nemmeno un osso». Le parole in maiuscolo potrebbero convincere qualcuno totalmente digiuno di anatomia ma sono discorsi insensati, sciocchezze, sproloquio, parole incomprensibili, vuoto gergo specialistico e, dal momento che Archie non può aver dimenticato il suo tirocinio medico fino a tal punto, deve averlo saputo. Avrebbe potuto facilmente dire «perforando il tendine del capo obliquo dell’alluce adduttore tra la falange prossimale del primo dito e quella del secondo senza scheggiare nemmeno un osso» perché è questo che successe.”

 

Se consideriamo veritiera la versione di Victoria, allora questo momento non dovrebbe essere mai accaduto. Tuttavia si contraddice, e vi fa riferimento come se facesse effettivamente parte della realtà, e se questo non discredita totalmente la sua versione, allo stesso tempo instilla il dubbio che ci sia qualcosa che non torna nel suo racconto. D’altronde tutti i personaggi del romanzo di Gray sono e devono essere inattendibili. In un meta romanzo dove gli uomini proliferano e si aggirano circospetti attorno a Bella, vero e proprio centro della narrazione, cercando di prenderne il controllo, la lettera con cui la moglie scredita il marito, veritiera o meno che sia, è un procedimento formale essenziale nel confermare l’impossibilità della sua appropriazione da parte di McCandless. La necessità fittizia di non permettergli di avere l’ultima parola su di lei. Fittizia perché è comunque l’autore del romanzo ad avere di fatto l’ultima parola su tuttx loro. Gray, fedele al postmoderno in tutto e per tutto, accanto all’estremizzazione della relatività che contemporaneamente tutto afferma e tutto nega, mostra anche l’altra faccia della medaglia, il ripiegamento su se stesso, il ritorno inevitabile al punto da cui ci si era precedentemente allontanati, che si afferma attraverso il lato negativo della lettera, facendoci rimanere profondamente amareggiatx. In tutte e due le versioni, Bella riaggiusta il suo desiderio perché si adatti alla società di cui fa parte, e anche se segretamente porterà avanti alcune pratiche più radicali, ci viene naturale sentirci quantomeno delusx rispetto tutto il resto e ci viene da chiederci: persino nella fantasia, dove l’immaginazione può sorvolare oceani e attraversare campi mai battuti, trasformare vecchie signore in tigri di metallo e pini silvestri giganti in scale che portano direttamente in paradiso, persino lì, lontano dalla triste, deludente e conforme realtà, non c’è davvero posto per un mostro e per il suo desiderio?

Note su sovra determinazione e uomini che parlano di altri uomini che parlano di donne:

La storia di Bella Baxter viene scritta, raccontata, plasmata, riconvertita in opera cinematografica da persone socializzate come maschi. Nel 1975 la regista e critica Laura Mulvey introduce il termine male gaze per sottolineare come la maggior parte del cinema fosse prodotto da uomini per uomini cis etero (d’ora in poi con l’utilizzo di parole come uomo/uomini, maschio/maschi/maschile e sinonimi si vuole sempre intendere uomini cis e etero), e come i personaggi femminili fossero usati unicamente in funzione di compiacimento dello sguardo maschile. Sguardo maschile non solo dell’autore che plasma e crea il femminile, non solo dello spettatore, che lo assorbe e lo consuma, ma anche dei personaggi maschili nell’opera stessa, che lo influenzano, canalizzano e significano.

Seppure dal 1975 siano passati molti anni, e altrettante cose siano cambiate, non si può ignorare che gli uomini abbiano sempre avuto storicamente il controllo egemonico dell’industria culturale. Questo non solo ha portato a un appiattimento della rappresentazione di certi personaggi (o femme fatale o indifesa da salvare), ma anche a riflettere e rinforzare lo squilibrio di potere tra i generi. Ci rendiamo conto quindi che è proprio a causa dell’aspetto storico di sovra determinazione che ha sempre connotato la relazione egemonica del genere maschile sul femminile, che lo sguardo maschile su un personaggio femminile resta uno sguardo problematico, a prescindere da quanto sessualizzato esso sia o non sia.

E in ultimo, ma non meno importante, ha reso per molto tempo impensabile la possibilità di autodeterminazione nel campo artistico o di presa di parola di tutte le persone che non fossero uomini, tanto impensabile che quando i critici (uomini) scoprirono che Frankenstein o il Moderno Prometeo era opera non del marito ma di Mary Shelley stessa, rimasero spiazzati e affermarono che l’opera era per un uomo eccellente… ma per una donna, decisamente straordinaria. 

Oggi invece, la rappresentazione mainstream del femminile nel cinema, anche quando realizzata da persone socializzate come femmine, con personaggi che si autoproclamano icone femministe, si rivela a un’analisi nemmeno troppo approfondita un riflesso distorto delle stesse identiche rappresentazioni di sempre. Il femminismo di Barbie è così piatto da risultare insulso, e nonostante i numerosi rimandi non approfondisce neanche per un solo secondo la questione di classe che accompagna quella di genere durante tutto il film. Così la radicalità e la potenza rivoluzionaria del mostruoso di Bella Baxter, come nel film così nel libro, vengono annichilite completamente per essere adattate alla società di cui fa parte. Il femminile viene sussunto, assorbito e infine rivomitato e venduto in sconto. E non è per sfiducia o malafede che una volta uscitx dal cinema, dopo aver fissato per ore storie di empowerment femminile, ci guardiamo dubbiosx e ci sentiamo sporchx, quasi usatx. Come se ancora una volta, l’appello non fosse davvero per noi.

 

Bibliografia:

Deleuze G., Guattari F., L’Anti-Edipo, Torino, Einaudi, 1975.

Doyle J. E. S., Il mostruoso femminile. Il patriarcato e la paura delle donne, Roma, Tlon, 2021.

Freud S., Il disagio nella civiltà, Milano, Feltrinelli, 2021.

Gray A., Povere Creature!, Pordenone, Safarà, 2023.

Joyce J., Ulisse, I Classici, Milano, Feltrinelli, 2021.

Mulvey L., Cinema e piacere visivo, Roma, Bulzoni Editore, 2013.

Nabokov V., Lolita, Milano, Adelphi, 1996.

Shelley M., Frankenstein o il Moderno Prometeo, Novara, Planeta De Agostini, 2011.

Sitografia:

Ferrario P., Il corpo come materia di riflessione. L’episodio di Circe nell’Ulysses di Joyce, https://www.ledonline.it/acme/allegati/Acme-07-II-17-Ferrario.pdf, 14/05/2024.

Filmografia:

Coppola S., Priscilla, 2023.

Gerwig G., Barbie, 2023.

Lanthimos Y., Poor Things, 2024.

Scott F., La regina degli scacchi, 2020.

 

5 consigli di visione/lettura:

Il mostruoso femminile: il patriarcato e la paura delle donne, Doyle J. E. S. (2021)

Cuori sgozzati, Dunn K. (1989)

Freaks, Browning T. (1932)

Titane, Ducournau J. (2021)

A girl walks home alone at night, Amirpour A. L. (2014)