PRAIA DO FUTURO di Karim Aïnouz (recensione di Alberto Berardi)

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Ci sono due tipi di coraggio dice Aquaman a Speedracer: quello di chi fa finta che nulla sia pericoloso, e quello di chi sa che tutto è pericoloso. Tra le pieghe dei suoi fotogrammi il film di Karim Aïnouz rimanda anche alla lezione americana di Calvino sulla leggerezza. Peso e leggerezza sono legati. Il vigile del fuoco e guarda spiagge Donato galleggia sull’oceano senza paure fino a quando un turista tedesco non affoga davanti ai suoi occhi. All’improvviso nuotare diventa impossibile, e l’esistenza a Praia do futuro non basta più.

Conoscere il proprio peso significa anche saper chi si è. Per Ayrton, il fratellino di Donato, non ci sono dubbi, il suo eroe non può affondare, perché come Aquaman appartiene al mare. “E se i miei poteri svanissero?” gli chiede Donato. Così si inizia ad affogare quando i movimenti perdono coordinazione, quando l’armonia si rompe e il proprio peso comincia a lavorare contro. Konrad è l’altro turista tedesco, quello rimasto vivo e senza un amico. Donato sente il debito nei suoi confronti, si inizia col sesso e si va oltre. Bracciate pesanti e arrabbiate portano Donato ad attraversare l’oceano per stare con Konrad a Berlino, ma dopo l’euforia iniziale lo sforzo della traversata presenterà il proprio conto al personaggio interpretato da Wagner Moura.

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Ci si sforza sempre. Si finge sempre. l’immagine di un pugile immaginario che tira pugni nell’aria a un nemico immaginario ricorre nel film. Prima è un gioco da spiaggia tra Donato e Ayrton, poi è parte dell’allenamento dei guardia spiagge,  quindi un gioco amoroso tra Donato e Konrad. I tre personaggi protagonisti del film di Karim Aïnouz lottano in realtà con se stessi, e si agitano in uno spazio vuoto che li schiaccia. La fotografia superba del regista brasiliano alterna primi piani di soggetti che cercano sempre una via fuga – di spalle alla finestra, oppure oltre il bordo di un muro o verso l’orizzonte – con campi lunghissimi che rinchiudono Donato e Konrad in gabbie precarie. Zone aperte e contemporaneamente chiuse, come il tetto di un edificio o un ponte, dalle quali si può fuggire solo tuffandosi o spiccando il volo.

Due tipi di coraggio, si diceva, e due tipi di leggerezza. Sarà solo grazie a una promessa mantenuta da Ayrton che quella leggerezza sciocca, quella superficialità caotica di chi fugge da se stessi, come gli eterni viaggiatori fearless Konrad e Heiko sulle loro moto all’inizio del film, potrà evolversi nella leggerezza di chi accoglie la pesantezza del mondo e il pericolo nascosto in ogni cosa. Karim Aïnouz ci accompagna in questo percorso, filmando in maniera coerente ogni gesto e ogni traiettoria. Donato, Ayrton e Konrad parlano poco o nulla, eppure ci dicono tutto di loro, perché il regista lavora in sottrazione con i dialoghi e lascia il compito di spogliare i propri protagonisti allo spazio fisico filmato e alla durata delle inquadrature. Questo tipo di cinema potrebbe esser descritto come una tortura buona, un modo di filmare che fa e chiede sacrifici, non lasciando lo spettatore comodo sulle poltroncina. Se però accettiamo di abbassare la guardia il film di Aïnouz ricambierà con una parabola morale struggente e delicata insieme, che ci racconta cos’è la paura e come si fa a sconfiggerla.

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