FUORI ORARIO di Martin Scorsese (USA,1985, 96')

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“Mi chiamo Paul Hackett, mi trovo a Soho ma non so esattamente dove. Insomma, sono perseguitato da una folla inferocita e lei sa di che cosa sono capaci. Ho tutte le ragioni per credere che la mia vita sia in pericolo, in gravissimo pericolo”. 

Il programmatore di computer Paul Hackett sta parlando con la polizia. Crede oramai di poter trovare soccorso solo dalle istituzioni ma, incredulo, si accorge che il suo interlocutore ha già riagganciato. Disperato, comincia a battere la testa più volte sull’apparecchio telefonico.

Siamo al centro di un congegno palesemente kafkiano: Paul è prigioniero di una notte e di un quartiere di New York, SoHo. Attraverso un’escalation di concomitanze rocambolesche indossa i terribili panni del capro espiatorio di ogni misfatto accaduto nelle ultime ore nel quartiere, inseguito da una folla di pseudo-artisti e individui frustrati (soprattutto femminili), capitanati di una gelataia ambulante con tanto di furgone. Tutto era cominciato in uno snack-bar, quando Marcy cita delle frasi a memoria da Tropico del cancro di Henri Miller, romanzo che Paul sta leggendo al suo tavolo.

fuori orario miller

Da questa complicità istantanea, nasce il piccolo sogno di Paul di raggiungere la donna per trascorre con lei una piacevole serata, mosso dalla scusa di comprare i bizzarri fermacarte di cartapesta che realizza Kiki Bridges, eccentrica coinquilina di Marcy, nonché una delle tante caricature di artista presenti nel film. Inutile dire che il sogno rivela ben presto le sue fattezze di incubo, che intesse le sue trame nel ventre impazzito di New York, della quale Scorsese mostra ancora una volta il suo lato oscuro. Questa volta però il regista italo-americano mette in scena una New York trasfigurata, che pulsa di simbolismi e cupezze, contrappunto ideale dei toni grotteschi della vicenda narrata.

Il viaggio al centro della notte del protagonista comincia in taxi, dove le avversità in agguato assumono subito le sembianze di un autista dalla guida a dir poco sportiva, con il risultato che l’unica banconota che Paul ha con sé (da venti dollari) vola via dal finestrino. D’altronde, poco dopo, il gestore di un locale, avvertirà Paul affermando, ancora con una certa dose di dolcezza: “A quest’ora cambiano le regole, sapete? E’ come un After Hours.”

È solo l’inizio della discesa agli inferi. È solo l’inizio di questa straordinaria black comedy dal ritmo irrefrenabile, dove a emergere non è più l’esistenzialismo di un emarginato, come in Taxi Driver o Toro Scatenato (solo per citare due casi), ma è l’esistenzialismo dell’uomo comune, producendo l’immedesimazione pressoché totale dello spettatore, che vive completamente nei panni di Paul, ne condivide i travagli, anche se talvolta gli scappa da ridere.
È evidente che a Scorsese non interessa in primo luogo il racconto dell’altra faccia di New York, ma trova la forma cinematografica per ironizzare ferocemente sull’industria culturale dello show business hollywoodiano, mettendo in scena un proprio alter ego isterico, costruendo così una sorta di autobiografia impazzita, quale vigorosa reazione alle profonde delusioni che lo hanno coinvolto nel recente passato.

Il regista di Quei bravi ragazzi decide infatti di dirigere questo film in un periodo davvero travagliato, dove le frustrazioni sono tante: l’insuccesso del precedente Re per una notte, il naufragare del suo matrimonio con Isabella Rossellini. Inoltre ha cercato in ogni modo di portare a compimento quello che all’epoca gli appariva come il progetto della sua vita, la realizzazione de L’Ultima tentazione di Cristo, dal libro omonimo del greco Nikos Kazantzakis, dal quale Paul Schrader aveva tratto una sceneggiatura che aveva già trovato l’interesse della Paramount. Tuttavia, ben presto, le tensioni in Medio Oriente scoraggeranno i produttori a girare nei luoghi originari. Più tardi si aggiunge la protesta del fondamentalismo cattolico, con un’enorme trafila di lettere che attaccano duramente la presunta blasfemia del romanzo di Kazantzakis. Il progetto è per questo sospeso (Scorsese riuscirà a realizzare il film nel 1988). Inoltre le major hollywoodiane gli propongono solo film di poco o nessun interesse artistico.

È in questo stato d’animo di profonda delusione che Scorsese decide di tornare a girare un film indipendente. Legge Lies, una sceneggiatura di uno studente della Columbia University, Joe Minion, che ha per protagonista uno yuppie esperto di informatica. Lo script è di proprietà di due attori, Amy Robinson e Griffin Dunne (che poi interpreterà Paul Hackett). La sceneggiatura è riscritta da Scorsese e Minion, che intitoleranno inizialmente il film A Night a SoHo, poi ribattezzato, After Hours.

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Ne esce fuori un capolavoro a basso costo, un vero cult che negli anni non perde vigore, anzi ne acquista. Dove gli aspetti visionari e quelli realistici vivono insieme naturalmente, dove le sinfonia di Mozart e di Bach si integrano perfettamente con la calibrata colonna sonora di Howard Shore, che accoglie gli indimenticabili tic tac meccanici degli orologi che segnano il paradossale essere fuori da ogni tempo, come a sancire una puntualità al contrario: essere sempre all’orario sbagliato al posto sbagliato.

Fuori Orario è uno straordinario film cupamente liberatorio, dove non è affatto casuale la frase citata da Tropico del Cancro, evidente catarsi da ogni repressione che attanaglia il regista:

“Questo non è un libro. È un insulto prolungato. Uno scaracchio in faccia all’arte. Un calcio in culo alla verità, alla bellezza, a Dio…” 

Potremmo divertirci a trasformare questa sorta di manifesto dadaista, affermando con Scorsese: 

“Questo non è il solito film hollywoodiano. È un insulto e uno sfogo prolungato. Uno scaracchio in faccia a Hollywood”.

Una curiosità:
Griffin Dunne aveva interpretato l’horror metropolitano Un lupo mannaro americano a Londra di John Landis, non a caso è l’altro cult degli anni ’80 proiettato da Kinodromo questo mese. Martin Scorsese ne è ben consapevole e gioca da vero cinefilo sul passato dell’attore alla fine di una esilarante scena. Paul non riesce a prendere la metropolitana perché allo scoccare della mezzanotte il prezzo del biglietto è aumentato. Il vigilantes che non gli consente di prendere il treno, si lamenterà della vicenda affermando: “Dev’esserci la luna piena!”

Spartaco Capozzi

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