Di Sara Fabbiani
L’idea iniziale è simile a ogni altro breve viaggio quotidiano, si pensa a un luogo in cui voler andare, si decide di fare una buona passeggiata, magari di raggiungere la meta a piedi poi alla fine, si finisce sempre per prendere un mezzo qualsiasi per arrivarci più velocemente. Questo è proprio uno di quei casi. Il luogo in cui decido di andare in un pomeriggio di fine novembre è la periferia di Bologna, con la voglia inconscia di perdermi tra larghe strade e palazzi fatiscenti, ma questa pioggia battente mi costringe a cambiare programma, quella strana voglia di vagabondare mi rimane addosso e non mi resta che uscire con l’ombrello sotto braccio e correre a prendere l’autobus 19, fermata Centro Vittoria, via Speranza, MAST (Manifattura di Arti, Sperimentazione e Tecnologia), mostra di David Lynch.
Via Speranza è una strada piuttosto stretta e poco trafficata, il MAST appare subito sulla destra come un’enorme cattedrale del ventunesimo secolo, un moderno altare di cemento grigio, che non immagineresti mai di trovare tra villette e palazzi anni ’70. Una di quelle costruzioni che non vorresti mai avere di fronte alla finestra di casa tua ma che nonostante tutto ti piace ammirarla per qualche minuto. La gente cammina veloce senza fermarsi, senza osservarlo, forse troppo abituata alla sua ingombrante presenza. Pioggia, nebbia, cala il buio della sera, una gru si muove veloce sui tetti delle abitazioni adiacenti, l’atmosfera perfetta per anticipare il tema dell’esposizione del regista americano dal titolo “The Factory Photographs”.
Percorro la ripida salita che porta all’ingresso principale, entro e scopro piacevolmente che la mostra è poco affollata, semi deserta. Quattro grandi fotografie mi accolgono all’entrata, poi a seguire altre di fabbriche abbandonate, dimenticate, templi del lavoro e del tempo passato, quei luoghi che sembrano odorare di fumo e di terra bagnata, luoghi freddi, dalle alte ciminiere, immersi nei fumi della nebbia industriale. Anche l’installazione sonora mi accoglie, mi stringe come due grandi braccia fredde, presenza palpabile, suoni profondi come tuoni, echi lontani di incubi terribili, rumori sordi di macchine e catene, urla strozzate colpiscono come pugni lo stomaco indifeso del giovane visitatore. Se si è da soli, tutto appare vuoto, asettico, estremamente ostile: i corridoi bianchi, le scale grigie, i muri con appese le fotografie, gli uomini che ti osservano agli angoli delle stanze, e quel suono ti accompagna da una stanza all’altra, facendosi sempre più intenso, sempre più nitido.
Le 111 fotografie dell’esposizione sono state scattate tra il 1980 e il 2000 nelle fabbriche tedesche e polacche di Berlino e di Łódź, in Inghilterra, a New York, nel New Jersey e a Los Angeles; piccole e grandi fotografie dal bianco e nero ben contrastato, un nero profondo e un bianco quasi accecante, vari intervalli di grigi, polvere sulla superficie, come se il tempo avesse reso visibile la sua presenza ostinata.
“Non saprei cosa fare del colore. Il colore per me, vincola troppo alla realtà. E’ limitante, non concede spazio al sogno. Più aggiungi nero ad un colore, più questo diventa surreale. Il nero ha profondità. E’ come un piccolo anfratto, lo imbocchi ed è buio e continua ad esserlo anche andando avanti. Ma è proprio per questo che la nostra capacità percettiva si fa più acuta e a poco a poco, gran parte di ciò che accade lì dentro, diviene manifesto e cominci a vedere ciò che ti spaventa, cominci a vedere ciò che ami. Ed è come sognare.”
Racconti in immagini arrugginite dalle intemperie e dal trascorre degli anni, storie di uomini che hanno lasciato tracce indelebili del loro passaggio, potenza meccanica. Immaginari enigmatici e surreali, fabbriche che testimoniano un glorioso passato e un presente estremamente desolato e affascinante. Lynch sa bene come creare universi evocativi che provengono dall’inconscio più recondito e profondo, queste fabbriche diventano scenari ideali, teatri decadenti in cui storia, realtà e incubo si fondono insieme creando suggestivi territori visivi. La singola fotografia non è altro che un breve fotogramma, assumendo ulteriore forza se accostata alle altre e diventando una cellula indispensabile al racconto finale e collettivo dell’esposizione. L’idea che da forma all’intera mostra é l’ammirazione e la fascinazione di questo uomo nei confronti dell’energia meccanica e umana. Lynch è riuscito a catturare l’essenza di queste fabbriche, templi decadenti del lavoro, donandola con estrema efficacia agli occhi dello spettatore.
Oltre alle fotografie e all’installazione sonora, fanno parte della mostra alcuni cortometraggi che vengono proiettati a ciclo continuo: Industrial Soundscape, Bug Crawls, Intervalometer: Steps. Tre lavori molto interessanti, caratterizzati dalle inconfondibili atmosfere lynchiane, visioni post industriali, quasi post atomiche, ombre pesanti, suoni alienanti che non trovano pace, luoghi in cui l’uomo ha lasciato il posto a macchine e ad altre forme di vita.
Le proiezioni sono dentro a una piccola stanzetta buia, dietro a pesanti tende nere. Ci sono poche persone che assistono ai tre cortometraggi, sono sedute strette sulla lunga panca di legno, sembrano conoscersi. In quel luogo così angusto riesco ad ascoltare i commenti di sottofondo, le azioni e le emozioni sono scandite dal passare del tempo, chi sospira profondamente, chi parla a bassa voce, chi non vede l’ora di uscire, chi, forse stanco, esce quasi arrabbiato dalla stanza. Finite le proiezioni vago ancora per qualche minuto, riguardo un’enorme foto che raffigura un portone di legno intagliato, mi piace pensare che possa muoversi da un momento all’altro svelandomi cosa si cela dietro ad esso.
Esco e mi lascio alle spalle il grande altare di cemento, schiamazzi lontani di giovani passanti, nel buio le luci interne sembrano più luminose di prima, la pioggia sembra non essersi placata e mi accompagna di nuovo alla fermata dell’autobus, insieme ai rumori, ai suoni profondi appena ascoltati.
Se avete voglia di immergervi nell’affascinante immaginario industriale creato dal regista, avete un mese a disposizione e più che un’informazione è un consiglio, andateci e giudicate voi stessi.
Sarà possibile visitare la mostra fino al 31 dicembre 2014, è aperta dal martedì alla domenica dalle 10 alle 19. L’ingresso è gratuito.
Per ulteriori informazioni potete visitare direttamente il sito
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